sabato 30 luglio 2011

Inizia il Ramadan: tradizione e integrazione

L'appello dell'amico e collega Abdoulaye Fall

“Tolleranza e rispetto delle tradizioni, dei costumi e della religione dell’altro. E’ l’appello che vogliamo lanciare ancora una volta alla vigilia del Ramadan, il mese sacro che trentamila musulmani residenti nella nostra provincia osserveranno rigorosamente. Sono comportamenti che la Cisl ritiene da sempre fondamentali per una convivenza civile ed un’integrazione solidale nelle nostre comunità”.

Questo il messaggio lanciato da Abdoulaye Laity Fall, segretario confederale della Cisl padovana.

“Ai padovani – precisa il sindacalista di origini senegalesi – vogliamo rivolgere un forte invito a comprendere quelli che possono apparire a prima vista dei disagi (come il capire il musulmano che nel mese di agosto, solitamente caldo, si astiene dal bere acqua, oppure perché più debole nella produzione per via del digiuno), così come rivolgiamo l’appello anche agli immigrati invitandoli a rispettare le proprie usanze in modo discreto e con il massimo impegno come lo prevede la religione musulmana”.

“Con il Ramadan, dall’alba fino al tramonto, è prevista l’astensione da ogni tipo di cibo, bevanda e da qualsiasi tipo di contatto sessuale. In aggiunta a questa componente fisica, l’aspetto spirituale del digiuno si manifesta in un’enfasi maggiore nell’astenersi del fare pettegolezzo, dal dire menzogne, oscenità ed in generale dal fare qualsiasi atto peccaminoso. Il digiuno è universalmente noto come un mezzo per ottenere l’auto-disciplina e la vicinanza a Dio”.

“Quest’anno – prosegue Fall – chiediamo particolare collaborazione anche ai datori di lavoro. Molti di loro mettono a disposizione locali aziendali per la preghiera, autorizzano la preparazione e la somministrazione di alimenti specifici e concedono massima flessibilità nella fruizione delle ferie. E’ con quest’atteggiamento di disponibilità che si evitano disagi e malintesi. Visto che non vengono fruite pause per alimentarsi, non dovrebbero generare problemi le due pause nell’arco del turno di lavoro in cui l’immigrato si raccoglie in preghiera per alcuni minuti. Autorizzare questi brevi distacchi dal ciclo produttivo significa soddisfare i suoi bisogni. E’ quanto noi auspichiamo”.

(leggi tutto)

martedì 26 luglio 2011

Roba da preti!

Il giudizio di Giuseppe Serrone

Preti sposati a Radio 24: Bollettin e Castagnaro non ci rappresentano

Nella prima parte del programma di Roberto Bonaldi (ascltato su Radio 24 del 14 luglio 2011 è stato affrontato con interviste a Bollettin e Castagnaro il tema preti sposati. Preti sposati - Storie di pentiti di mafia - Italia in controluce - Radio 24

Segnaliamo l'esistenza dell'associazione dei sacerdoti lavoratori sposati che da anni è impegnata sulle problematiche dei preti sposati delle donne e dei diritti civili e religiosi con un blog e un sito internet:

sito http://nuovisacerdoti.altervista.org


blog http://sacerdotisposati.splinder.com

Bollettin e Castagnaro non rappresentano pienamente i sacerdoti sposati: il loro intervento è riduttivo delle problematiche scottanti delle famiglie dei sacerdoti sposati...

Prevale ancora la logica della divisione tra i preti sposati...

L'associazione dei sacerdoti lavoratori sposati si fa portatrice da anni di un percorso unitario sopratutto per quanto riguarda l'immagine che si offre della nostra causa ai media (immagine offuscata in questi ultimi anni da Sante Sguotti e da Milingo e dai loro staff, che hanno curato più i loro interessi che la causa).

Percorso unitario largamente disatteso: si preferisce lavorare isolatamente e così diperdiamo le forze....


La mia risposta

Caro Giuseppe,
non è la prima volta che mi citi in giudizio sul tuo sito, per esternare gratuitamente la tua contrarietà ad alcune mie riflessioni.
Non ci conosciamo di persona. All'inizio della mia vicenda c'era stato addirittura un tuo interessamento nei miei confronti. Poi il silenzio, e infine questi tuoi interventi di critica alla persona, più che sui contenuti di quanto affermo.

Quando parlo, o rilascio interviste, non mi presento mai come portavoce dei preti sposati italiani. Se lo aggiunge il giornalista di turno, forse ci scandalizza? Ma posso dire tranquillamente di rappresentare i sentimenti di un piccolo gruppetto con il quale mi confronto, sul territorio dove abito. Inoltre non ho la pretesa di portare avanti la causa dei preti sposati per l'abolizione del celibato obbligatorio. Sto semplicemente mettendo in circolo la mia esperienza per camminare insieme sulla via dell'onestà e della libertà. I titoli, le associazioni, i movimenti, ecc... per ora non mi interessano.
Mi piacerebbe però conoscere meglio la tua associazione, sapere chi sono i tuoi collaboratori, gli altri preti che con te si impegnano da anni su questo fronte.
E' vero che sarebbe più producente mettersi insieme, costruendo un percorso unitario... ma saresti disposto a metterti in cerchio con tanti altri?
Pensa un po' che il nome che hai dato alla tua associazione non mi piace. Gesù non è stato sacerdote, e quindi nemmeno chi lo segue deve considerarsi sacerdote! Un piccolo esempio per dire che, prima di tentare strade comuni, occorre incontrarsi di persona, conoscersi, ed avere l'umiltà di farsi compagno piuttosto che imporsi come capo.
Spero che questa mia riflessione apra un dibattito costruttivo,
con sincerità

Federico

domenica 24 luglio 2011

L'informazione non generalizzi sullo straniero!

"Se in una cassetta di mele, ce ne sono due o tre di marce, non si può buttare via tutta la cassetta!"

Con questa immagine, un collega di origine nigeriana mi spiegava che non si può generalizzare, non si può fare di un erba un fascio. Anche se nelle prime pagine dei quotidiani di Padova le notizie di questi ultimi giorni mettevano in evidenza crimini compiuti da persone di origine straniera, bisogna fare alcune doverose osservazioni.

Finalmente anche i titoli riportano la nazionalità precisa di chi commette un reato. Mi spiego, fino a qualche anno fa, i giornalisti avrebbero scritto: "Nero accoltella marocchino". Adesso precisano: "Nigeriano accoltella tunisino". Può sembrare una sottigliezza ma non è così. A Padova ci sono rappresentanti di tutta l'area del Magreb e dell'Africa sub-sahariana. Un marocchino non è un tunisino o un algerino, un nigeriano non è un congolese, un senegalese non è un camerunese. Così come un norvegese non è un italiano, o un veneto non è un siciliano.
Precisare ci permette di non etichettare, di non assolutizzare.
Gli slogan, le notizie da prima pagina, le frasi ad affetto, le leggi... tendono a generalizzare, forse per necessità, ma creano la cultura del facile giudizio.

I problemi legati all'integrazione ci sono e sono pesanti. La repressione non solo non basta ma può creare effetti contrari.
La scuola ha in mano un grande potere, ho grande speranza per il futuro!

giovedì 21 luglio 2011

Lotta per l'autenticità

Una riflessione di Stefania Salomone*

Liberi di spirito
"La ricerca del senso delle cose, questo mi sta a cuore. Ho capito che avventurarsi in questa ricerca è già un traguardo. Sentirsi liberi di cercarlo, senza accontentarsi di risposte già preconfezionate da qualcuno che è pronto a venderle al mercato nero, come la farina in tempo di guerra. Potremmo definirla “libera ricerca spirituale”, se questo termine non fosse già sufficientemente abusato. Si tratta in sostanza di tuffarsi profondamente dentro se stessi per riportare alla luce il progetto originario, quello che in fondo siamo da sempre senza esserne consapevoli.
Mentre si sprofonda ecco che si smuovono le correnti interiori e le maree diventano ingovernabili, impetuose. Se fosse proprio questo ciò che chiamiamo Dio? Qualcosa di totalmente e assolutamente creativo, ma che lo diventa solo nella misura in cui noi lo portiamo alla luce.
E' da un pezzo che non riesco più ad immaginare un Dio-persona che si trova chissà dove, quello a cui ci si rivolge per chiedere o per ringraziare. O quello da temere, così caro alle religioni sempre meno spirituali; quello che si offende, che porta rancore, all'occorrenza anche per l'eternità. Una presenza che ha contraddistinto la formazione religiosa della gran parte dei cattolici, istruiti a sopportare la vendetta di un Padre irascibile e permaloso che per ciascuno ha previsto specifici piani spesso incomprensibili. Meno li si capisce e più si ricorre alle gettonate teorie che svuotano il pensiero e lo riempiono di assurde certezze capaci di trasformare la bellezza in senso di colpa e la passione in delitto.
È quel che accade quando le nostre scelte sono dettate dalla paura di sbagliare, o peggio ancora di trasgredire, specie laddove la presunta mancanza riguarda una legge “divina”. Nella mia esperienza con le “donne dei preti” riscontro con dolore quanto questa paura sia presente e determini le azioni e i gesti sia della donna che del chierico. La prima annaspa nel tentativo di liberarsi dalla trappola dorata di una relazione impari, condizionata dalla superiorità dell’uomo sacro che impone tempi e modalità fortemente penalizzanti ad una storia già di per sé complicata. Il secondo cerca di vivere la relazione occultando il senso di colpa per aver tradito l’istituzione, i confratelli e le aspettative che tutti ripongono in lui. In molti casi, specie se si tratta di preti giovani, questa condizione mortificante è superata dalla consapevolezza che il celibato obbligatorio non è un dogma di fede e le relazioni sono affrontate con maggiore disinvoltura. Forse troppa, stando alle testimonianze delle loro compagne, spesso abbandonate perché la storia “sta diventando troppo seria”, salvo poi constatare che un’altra donna, meno impegnativa e pretenziosa, era già nell’aria. Ma anche così il celibato è salvo.
Ecco, allora da qui la domanda: qual è il senso di tutto questo? E come uscirne? Combattere affinché l’istituzione ecclesiastica decida per l’abolizione di questa norma o cercare la forza e la strada per superare ed eliminare ciò che impedisce di essere autentici?"

* Segreteria del Gruppo romano di Noi Siamo Chiesa e coordinatrice del Blog “Amore Negato”, che tratta di celibato e delle “donne dei preti” (http://www.ildialogo.org/phpBB302) sul sito “Il Dialogo”

lunedì 11 luglio 2011

Il valore delle persone

Cosa rende buono il seminatore?
la quantità del seme sparso? dei solchi praticati? dei campi trattati? del raccolto? del ricavato? il numero dei giorni che lui vivrà?

Cosa rende buono il pastore?
il numero di pecore, di recinti, di cani da guardia, di lana venduta, il numero dei giorni che lui vivrà?

venerdì 8 luglio 2011

Cosa resterà di noi?

Quando muore una persona che vive sulla strada, che chiede l'elemosina ai semafori, che bivacca sotto i ponti, che ogni tanto commette qualche furterello... ci si aspetterebbe silenzio assoluto.
Se poi questa morte avviene tragicamente, come nel caso di Barbara, la reazione dei soliti leghisti rozzi è ormai di routine: "Che li tirino tutti sotto!"
E invece no, per Barbara arrivano una serie di messaggi di affetto, di amicizia che mi hanno colpito. Per lei si usa il termine clochard, non è una barbona o una "senza fissa dimora" qualsiasi. Tra l'altro era molto giovane, 39 anni, e - da come la ricordano chi l'ha incontrata - trasmetteva allegria e...caramelle.
Di seguito alcuni commenti...

Ciao Barbara, proprio mercoledi mi hai salutato!!!!! Ti ricorderò sempre!!!!!Un bacio lassu'!!!!

Noooooooooooo... quando smontavamo notte ci rallegrava al semaforo anche se magari nessuno le dava nemmeno uno spicciolo... che vita ingiusta e che gente senza cuore che c'è in giro... come puoi non fermarti a soccorrere qualcuno?? Ma quando invece si tratta di guardare dove c'è un incidente.. perchè vi fermate tutti?? Senza parole...

Cara Barbara....Conserverò ancora più gelosamente la caramella che mi hai regalato a Natale....non ce l'aspettavamo...chi lavora vicino a dove tutti i giorni arrivavi tu con la tua bici non ti scorderà mai....

... apriva gli specchietti del mio scooter, per "specchiarsi"!

Che tristezza! Proprio l'altro ieri sera, mercoledì, rientravo al dipartimento di Matematica sulle 19 e lei era lì di sotto, alle panchine, come faceva spesso. Cantava.

mercoledì 6 luglio 2011

L'analisi di Leonardo Boff

Nell’ultimo articolo ho ventilato l’idea, sostenuta da minoranze, che staremmo davanti ad una crisi sistemica e terminale del capitalismo e non davanti a una crisi ciclica. Detto in altre parole: sono state distrutte le condizioni della sua riproduzione, sia dalla parte della devastazione della natura e dei limiti raggiunti dei suoi beni e servizi, sia da parte della disorganizzazione radicale delle relazioni sociali, dominate dall’economia di mercato, con il predominio del capitale finanziario.
La tendenza dominante è pensare che è possibile uscire dalla crisi, tornando a quello che c’era prima, con piccole correzioni, garantendo la crescita, riscattando impieghi e assicurando guadagni. Pertanto gli affari continueranno as usual, come sempre.
(leggi tutto l'articolo)

sabato 2 luglio 2011

La punizione che educa


Incontro con Cesare Moreno, "maestro di strada" a Napoli

Le frasi che riporto sono prese da alcune riflessioni di Cesare Moreno, maestro di strada a Napoli. Insegnante delle scuole elementari in aspettativa, sta svolgendo il suo servizio tra gli adolescenti abbandonati a loro stessi, nei quartieri di una Napoli con molti problemi. Non pretende di "salvarli" ma semplicemente di incontrarli e farli sentire amati, importanti, cittadini con un futuro davanti.
Mi ha colpito la sua lettura pedagogica sulla punizione. La punizione che educa è una punizione che non è espressione di violenza ma che permette a chi ha sbagliato di riscattarsi, di pagare onestamente il suo debito, di metterci una pietra sopra e ripartire da capo senza sensi di colpa o posizioni svantaggiate.


[...]Mi interrogo sul concetto di punizione. Mi è molto più chiaro il concetto di repressione, ossia quello di una azione che impedisce la realizzazione di offese alla legge, alla persona, alla comunità. Punizione invece ha il sapore di una sorta di espiazione, che quindi dovrebbe portare ad una interiorizzazione delle dolorose conseguenze dell’errore.


Le violazioni e le lacerazioni ci sono e sono pesanti. Cosa fare? Se noi siamo riusciti a costruire attraverso il confronto sistematico una piccola comunità, ogni lacerazione nel tessuto diventa una sorta di ‘scomunica’ (i nostri ragazzini del resto usano il termine ‘scompagno’ per mettere qualcuno fuori le regole dell’amicizia): noi sottolineiamo la reciprocità della scomunica: il singolo non riconosce la comunità come propria e la comunità non riconosce il singolo come proprio  membro. Da un movimento espulsivo reciproco occorre generare un movimento di ricomposizione, un appetenza del gruppo a ricostituire la propria unità che diventa anche spazio interiore di ciascuno a riaffermare una identità più forte attraverso ciò che il gruppo aiuta ad elaborare. Il lavoro dell’educatore consiste appunto in questo, nell’accompagnare il gruppo ed il singolo a ritrovare se stessi ogni volta che ci si perde, ogni volta che i “mal di pancia” - le emozioni elementari - prendono il sopravvento sul pensiero e sui legami.

Tutto questo lo chiamiamo “riparazione”, ossia un movimento teso a riparare quanto si è lacerato. Sotto questo aspetto se noi vogliamo ritornare al termine ‘punizione’ potremmo affermare il “diritto alla punizione”  come diritto a poter essere riammessi nella comunità; anzi potremmo dire che la comunità istituisce la nozione stessa di diritto come possibilità di regolare inclusioni ed esclusioni. La riparazione porta con sé anche gesti concreti tesi a ripristinare ‘lo stato dei luoghi’: luoghi fisici, luoghi dell’animo. Quando ci sono danni materiali i ragazzi possono anche essere chiamati a ripararli trasformando questo lavoro in una vera e propria unità didattica e non semplicemente una sanzione da pagare. Oppure, e questo è più significativo, ci sono formali scuse (non le abbiamo imposte  ma ci vengono offerte spontaneamente  dai giovani quando la discussione sull’errore ha raggiunto il suo scopo) o riconoscimento pubblico dell’errore.

In questo modo, attraverso la rievocazione e la ricostruzione dell’errore e dei suoi motivi, l’errore stesso può essere ‘archiviato’ il giovane riprende in mano il processo di crescita della persona e il suo posto nella crescita del gruppo.  Ancora più interessante è la ricostruzione e la riflessione su tutto il processo di rielaborazione dell’errore, perché in qualche modo si prende coscienza che la ‘sanzione’ è in realtà un aiuto a rientrare, che il gruppo ti offre una possibilità di riparazione.